Stamattina Gramellini torna sul Movimento 5 Stelle e il suo rapporto con Beppe Grillo, evidenziando ancora una volta un aspetto cruciale, secondo me (almeno in questa prima fase embrionale del M5S):
Noto in me, e immagino in molti miei colleghi, la difficoltà ad abbandonare le logiche della politica personalistica che ha furoreggiato negli ultimi decenni, quando tutto sembrava ridursi allo scontro fra alcune personalità salvifiche: Berlusconi, Bossi, Di Pietro, il segretario di turno del centrosinistra.
[…] L’epoca delle rockstar politiche, per fortuna, è finita. […]
Cinque Stelle non è il partito di Grillo, ma un movimento in franchising, senza rapporti di dipendenza gerarchica (ed economica) fra il guru e la base. Il neosindaco di Parma ha potuto smarcarsi da Grillo fin dalla prima intervista. Lo avessero fatto un leghista o un berlusconiano, sarebbero stati scomunicati. Adesso tutti dovranno imitare quel modello: l’Italia chiede facce nuove, ma stavolta le preferirebbe anonime.
Sulla fine di quelle che Gramellini chiama “rockstar politiche” non sarei così sicuro. Ma sulla relazione tra il M5S e Beppe Grillo concordo. Lo confermano anche alcune parole del neosindaco di Parma, oggi evidenziate dal Post (al “grido” di Pizzarotti difende le banche).
Così come concordo sulla sorpresa dei commentatori politici. Ne è un esempio il post di Gilioli oggi.
Dobbiamo studiarlo per bene questo Movimento 5 Stelle. E non farci prendere dall’avversione ideologica. Che non significa sposare Grillo e le sue dichiarazioni al vetriolo. Ma capire che M5S è altro (e sarà sempre più “altro”) da Grillo. E che – al di là di ciò che diverrà, se diverrà – incarna una domanda politica. Con tutte le sue contraddizioni.